Da sabato 23 novembre al 31 dicembre 2013
Mi pare che ciò che accomuna Renzo Codognotto e Franco Dugo nel loro far arte sia un ammirevole esercizio di Bellezza, categoria oggi quasi del tutto estranea alla ricerca di moltissimi pittori, più impegnati in concettualismi strampalati, bislacche sperimentazioni di materiali, improbabili installazioni e logore performance. Due maestri che creano Bellezza, dicevamo, e scusate se è poco! Tanti altri artisti, infatti, hanno preso troppo sul serio l’affermazione di Picasso – senza peraltro averne il medesimo geniale talento – il quale sosteneva che la pittura non è un’operazione estetica. Conveniamo che l’arte può anche essere brutta purché “comunichi qualco- sa”, ma la bellezza non deve necessariamente essere bandita dall’arte, come la moda dilagante sembra decretare. Sono convinto, viceversa, che non possa esserci autentica Pittura in assenza di un diffuso sentimento del Bello, anche quando questo Bello è declinato utilizzando la malinconia, la tristezza e persino la sofferenza. Perché è anche vero che non c’è bellezza che non abbia in sé anche sofferenza.
A conferma di ciò potremmo attingere a piene mani nei grandi classici della letteratura. Con Thomas Mann: La bellezza ci può trafiggere come un dolore, con R. Maria Rilke: Il bello è solo l’inizio del tremendo, con Dostoevskij: La bellezza, che tremenda cosa, là gli opposti si toccano. Il Bello, però, ha l’aria facile (ma solo l’aria!) é per que- sto che talvolta un certo tipo di pubblico lo guarda con sufficienza. Il ritorno ad una bella pittura di figurazione classica, colta, elegante, levigata com’è quella che Codognotto e Dugo hanno sempre praticato, dovrebbe essere accolto con entusiasmo, perché la Bellezza (tanto rara ormai in ogni espressione della nostra vita civile, politica, sociale) è come un raggio di chiarissima luce che tiene vivo il senso di meraviglia per il mondo, un efficace balsa- mo per lo spirito. “La bellezza salverà il mondo” afferma, infatti, il principe Miškin, nell’Idiota di Dostoevskij. Nella loro espressione figurativa, sia Codognotto sia Dugo, partono da una realtà immediata per filtrarla con la rispettiva sensibilità e temperie creativa e ne raccontano la trasformazione attraverso il mondo dei sogni e dei ri- cordi. Essi si servono del dato reale per far emergere immagini curate e nitide, che sono utilizzate come medium, per aiutarci a penetrare l’essenza più intima delle oggetti e delle persone. Come un grimaldello per scavare l’apparenza e arrivare all’essenza delle cose, perché l’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità.
Il risultato del loro lavoro è un prodigio attraverso il quale un soggetto (una persona), un oggetto (un vaso) o uno spazio (un cielo o una spiaggia) che non ci davano alcuna emozione o piacere a riconoscerli dal vero, diventano nel dipinto fonte di vigorosa emozione e intenso piacere estetico. Allora, dopo tante stravaganti mostre d’avanguardia o concettuali, spesso indecifrabili (e talvolta prive di ogni “artisticità”), godiamoci finalmente una mostra veramente da “guardare” e non da “pensare”. Una rassegna destinata una volta tanto agli occhi e al sentimento, per fortuna, perché quell’arte visiva che esclude proprio lo sguardo é davvero un’arte molto triste.
Giovanni Cozzarizza